Invecchia prima (e peggio) del viso. È il collo. Molti i motivi: più sottile, la sua pelle presenta anche una minore quantità di tessuto adiposo e di ghiandole sebacee ed è dunque meno idratata rispetto a quella del viso.
In più è sottoposta alle continue sollecitazioni meccaniche dovute ai movimenti e all’aggressione dei raggi Uv. E, come se non bastasse, la muscolatura del collo – o platisma, che si contrae per ritrarre il collo verso la mandibola – non è agganciata a strutture ossee che ne garantirebbero la tenuta. Non c’è da stupirsi, insomma, se la pelle di questa zona appare più soggetta a rughe profonde e a rilassamento cutaneo, che a sua volta provoca la progressiva perdita dei contorni.
Con l’avanzare dell’età (seppur in modo molto diverso a seconda delle persone) persino lo SMAS (Sistema muscolo aponeurotico superficiale), ovvero la struttura che ingloba le fasce muscolari e una parte del grasso sottocutaneo, tende ad “aprirsi” e a formare due cordoni laterali separati da uno spazio vuoto. A peggiorare la situazione, contribuisce, infine, la circolazione sanguigna, più lenta in questa zona e, dunque, meno drenante.
Da qui la necessità – quando la beauty routine quotidiana non basta più – di un restyling del collo con soluzioni mirate. In questo caso, proprio per la situazione appena descritta, la medicina estetica promette risultati modesti: banditi i laser, si può puntare su peeling a bassa concentrazione di attivi per migliorare la trama cutanea, filler fluidi per ridurre le rughe e fili di trazione riassorbibili di polidiossanone.
Inseriti mediante aghi sottilissimi e indolori, ricreano una sorta di rete sotto il derma, favorendo sia la trazione dei tessuti, sia la loro rigenerazione. Efficace è poi il PRP, ovvero una soluzione ad altissima concentrazione di fattori di crescita piastrinici (pari al 383%), ottenuta dallo specialista grazie a una tecnica codificata, che prevede la centrifugazione del sangue autologo (cioè dello stesso paziente) e quindi la separazione degli strati di cellule. Innestato nella zona da trattare, il PRP accelera la proliferazione cellulare (specie delle staminali), accelerando i processi riparativi, la rivascolarizzazione della pelle e la sintesi di collagene.
Ma per ottenere effetti visibili e long lasting, l’unica possibilità resta il lifting, che consiste nel riposizionamento degli strati cutanei e muscolari, SMAS compreso. Il chirurgo effettua la sutura delle due bande, a livello della zona sottomandibolare e anterocervicale alta attraverso due piccole incisioni (partendo dal foro auricolare e procedendo avanti e indietro) e/o una praticata sotto al mento, molto ridotte e quasi invisibili. Da solo o abbinato a quello cervico-facciale, l’intervento si esegue in anestesia locale più sedazione e richiede 7-10 giorni di convalescenza, terminati i quali, il chirurgo asporta il grande cerotto già applicato sulla zona interessata.
Il problema è il doppio mento? Un inestetismo che, oltre a essere sgradevole da un punto di vista estetico, rischia di provocare scompensi psico-fisici: la riduzione del passaggio di aria inspirata nelle prime vie aeree, dovuta all’eccesso adiposo, può essere responsabile di scarsa concentrazione, sonnolenza, cefalee e disturbi da ipertensione arteriosa.
Per risolverlo, lo specialista esegue un intervento ambulatoriale in anestesia locale, eventualmente associata a una blanda sedazione. Mediante un’incisione di circa 2 mm effettuata sotto il mento, aspira il tessuto adiposo in eccesso con una micro-cannula unita a un aspiratore meccanico, aiutandosi talvolta con altre apparecchiature ad hoc (ultrasuoni, vibrazioni, getti d’acqua…) per meglio sciogliere i grassi. In tal modo, riesce a ricreare l’angolo tra collo e mandibola, rimodellando la linea della guancia. L’utilizzo delle cannule favorisce anche la “retrazione” dei tessuti, prevenendo il rischio di un loro rilassamento.